L’acqua che disseta gli occhi

Da dietro l’obiettivo ci si deve dissetare. Fotografare non è la pressione sul pulsante che fa scattare l’otturatore, scattare è un colpo d’arma da fuoco, al contempo una dichiarazione di guerra e d’amore.

Gli occhi, molto più delle papille gustative, cercano sapore che tolga la fame. Gli occhi sono maledizioni per la soddisfazione, non ne hanno mai abbastanza di quello che amano ed è il piacere più silenzioso. La sete degli occhi non è come l’astinenza da fumo che se manca una sigaretta il corpo soffre e si dimena, alza la voce e si contorce. Gli occhi cercano e aspettano in silenzio e se il cibo non arriva non reclamano ad alta voce, gli occhi sono pazienti e silenziosi.

Poi gli occhi incontrano le forme dei loro desideri, si saziano, ma subito ne vogliono ancora, non la stessa forma ma una sua piccola evoluzione, differente, nuova, nei colori, nelle sfumature, piccole differenze ma sempre appartenente al motivo della loro prima soddisfazione, del suo primo oggetto di desiderio. Ecco, ne trovano, si saziano ancora, e quando sembra bastare ne cercano ancora, e ancora, senza mai trovare pace.

La passione di un fotografo sono i paesaggi? Quel fotografo scoprirà che il mondo non ne ha abbastanza. La passione è il ritratto? Scoprirà che non ci sono abbastanza esseri umani al mondo da togliere quella sete. E quando il fotografo li avrà immortalati tutti? Dovrà iniziare di nuovo il giro per elemosinare espressioni differenti, luce differente, età differenti.

Fotografare è un melense girone dell’inferno in paradiso.

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