Introduzione

Alcuni ricordi sopravvivono nei nostri occhi solo grazie ad una fotografia

Introduzione nell’introduzione

Cosa muova una persona ad intraprendere un percorso può essere più o meno riconoscibile, e giustificabile: ragioni, passioni, desideri, progetti.
Tutto questo può essere compreso.
Ciò che invece rappresenta un mistero è il perché accada in un istante piuttosto che in un altro. Un progetto viene pensato e meditato, risiede in noi per un più o meno lungo tempo di elaborazione, poi ad un certo punto… viene alla luce.

Questo è un mistero.

Proprio come un quadro che sta per anni appeso ad una parete in una casa chiusa ed abbandonata, dove nessun evento modifica la sua condizione per mesi e mesi, poi, un giorno, ad un certo punto: Bam! Il quadro cade.

Questo è un mistero.

La necessità di innamorarsi

Cosa fa la differenza fra chi vive la fotografia e chi semplicemente fa fotografie?
Come in ogni cosa ciò che fa la differenza è l’amore, la passione, l’innamoramento, quella misteriosa sensazione di appartenenza a qualcosa che inizialmente non ci vuole. Si, perché inizialmente ogni cosa che è beneficiata dell’amore tende a respingere il beneficiario. Una sorta, di – no, grazie –
Forse questo accade perché l’amore fa paura, perché è un vincolo indissolubile, un qualcosa che va oltre la nostra umana comprensione e fissa un percorso ed un destino. Il libero arbitrio definisce solo come quel percorso può essere percorso ma nulla può cambiare il fatto che quella strada sarà … la strada.
Si è, quindi, innamorati.

Alcuni fotografano per passione, altri lo fanno per poter scrivere sul biglietto da visita “fotografo”, altri ancora lo fanno per poter vedere le ragazze spogliarsi, perché non hanno altri modi per farlo, qualcuno lo fa per lavoro perché gli viene bene, altri fanno prove e lo fanno anche con la fotografia, per altri si tratta di un buon, innocuo, hobby.

Tutto questo va bene, non c’è nulla che non vada, a parte quelli che lo fanno per spogliare le ragazze, ma quello che rende speciale la propria esperienza nella fotografia è essere o non essere innamorati di ciò che si fa. Ognuno si può innamorare oppure no e ad ognuno a cui accade, accade per ragioni impreviste ed in modo imprevedibile.
Che cos’è che ci innamora della fotografia?
A volte si tratta di illuminazione, altre volte di una visione, la visione di quello che si vuole poter fare nella fotografia. Qualche volta sono alcune fotografie ad innamorarci, altre volte può essere un modello o una modella, volontario o involontario, cosciente o incosciente.

Un libro per ispirazione

Nel mio caso è stato un libro ad innamorarmi: “Fotografare” di John Hedgecoe (1977), un libro solo di pochi giorni più giovane di me.
Questo libro ha composto la forma non solo di ciò che avrei potuto fotografare ma, perfino più importante, di quello che avrei potuto vivere ed incontrare nella vita per poter fotografare.

Il viaggio del fotografo

Si, perché la fotografia non è soltanto l’immagine scattata, rubata, un instante fra mille, ma è anche un fotografo che dietro la sua macchina fotografica si trova di fronte a ciò che sta per fotografare.
Tutte quelle meravigliose immagini sfogliate in un libro significavano per me che poterle scattare avrei dovuto avere l’occasione di viaggiare, di finire di fronte a tutte quelle meravigliose scene: tramonti, persone e momenti particolari, una danza, un sorriso, una tempesta. In tutto questo la fotografia rendeva poesia uno fra mille istanti che si trovavano prima e dopo quello rubato dalla macchina fotografica.
Sognavo ad occhi aperti. Mi stavo innamorando.

Mentre leggevo scoprivo che per riuscire a scrivere la luce bisognava saper prima leggere la luce e saperla manipolare. Una macchina fotografica non era sufficiente. Come ogni altro strumento imperfetto avrebbe avuto bisogno di occhi, mani, cervello e cuore per poter restituire emozioni.
Quello era ciò che mancava perché la fotografia mi entrasse nel cuore: scoprire che ci voleva cuore, ed il cuore è tutto.

 

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